L’Irlanda del Nord in stallo tra riunificazione e rischio di revoca dei poteri autonomi
Uso della Lingua irlandese, diritti della comunità omosessuale e indagini sul conflitto armato. Questi sono i temi che dividono Sinn Féin e DUP (Democratic Unionist Party) e che stanno impedendo l’accordo di governo tra i due partiti vincitori delle recenti elezioni anticipate che si sono tenute il 2 marzo 2017.
Parliamo di due vincitori in quanto le consultazioni hanno visto i maggiori partiti dell’Irlanda del Nord ottenere entrambi circa 225mila voti (28%) con un leggero vantaggio a favore degli unionisti che infatti conquistano 28 seggi contro i 27 dei repubblicani.
Per lo Sinn Féin si tratta del miglior risultato di sempre sia in termini assoluti che percentuali. Nelle elezioni del 2016 il partito repubblicano aveva ottenuto 167mila voti equivalenti al 24%. Un avanzamento di 58mila voti corrispondente al +4%.
Sostanzialmente stabile il DUP che rispetto al 2016 guadagna 20mila voti e perde un punto percentuale.
Stabili anche il terzo e il quarto partito del Nord Irlanda: il SDLP (Social Democratic and Labour Party ) – pro unione con la Repubblica d’Irlanda – con 96mila voti, 12 seggi e il 12% e l’UUP (Ulster Unionist Party) – conservatori unionisti – con 100mila voti, 10 seggi e il 13%.
Le elezioni anticipate nordirlandesi
Il ricorso alle elezioni anticipate era stato obbligato dalla caduta del governo nordirlandese il 9 gennaio 2017 dovuta alle dimissioni del viceministro repubblicano Martin McGuinnes, storico leader repubblicano morto il 21 marzo 2017, in dissenso con la costosa riforma energetica voluta da Arlene Foster, primo ministro dell’Irlanda del Nord e responsabile del DUP. Le divergenze comprendevano anche diversi approcci rispetto al programma di sovvenzioni alle energie rinnovabili. Lo Sinn Féin aveva anche formulato la richiesta di una non ricandidatura della premier.
Lo stallo irlandese continua
I risultati delle nuove elezioni 2017 non hanno sbloccato la situazione, i negoziati tra Sinn Féin e DUP sono falliti e così il ministro del Regno Unito per il Nord Irlanda, James Brokenshire, dovrà decidere se dare ulteriore tempo ai partiti locali per cercare di formare un governo, convocare nuove elezioni o sospendere l’autonomia trasferendo i poteri a Londra. Brokenshire ha comunque recentemente inviato una lettera ai parlamentari nordirlandesi nella quale avvertiva che l’eventuale mancanza di un accordo di governo avrebbe messo a rischio i servizi pubblici e avrebbe provocato una “importante incertezza sia per gli affari economici che per la società”.
Da parte sua il primo ministro della Repubblica d’Irlanda, Enda Kenny, ha suggerito al governo britannico di prorogare il termine per i negoziati.
L’UUP (Ulster Unionist Party) ha affermato che “questi sono stati i negoziati peggiori ai quali abbiamo preso parte: non si è tenuto neanche un giro di consultazioni. La tattica dello Sinn Féin sembra chiara”.
La formazione repubblicana ha mostrato il suo dispiacere per il fatto che non si sia riusciti a fare passi in avanti sui temi segnalati e si è detto fiducioso che ci saranno altri spazi per farlo. “Siamo giunti alla fine del percorso, i negoziati sono finiti”, ha affermato Michelle O’Neill, leader repubblicana nel Nord Irlanda.
Il leader del SDLP, Colum Eastwood ha criticato “la rigida opposizione del DUP rispetto ai temi chiave”, atteggiamento che ha impedito arrivare ad una soluzione.
La brexit e i referendum
Nelle stesse ore in cui i rappresentanti istituzionali britannici hanno consegnato a Bruxelles la lettera per iniziare formalmente i negoziati per l’uscita del Regno Unito dall’UE si assiste ad un intreccio molto delicato di questioni. Lo stallo istituzionale nel Nord Irlanda si sovrappone alla decisione del parlamento scozzese – a maggioranza indipendentista – di negoziare con il governo britannico un secondo referendum di autodeterminazione da realizzare entro la fine del prossimo anno o entro la primavera del 2019, ipotesi rifiutata dal primo ministro inglese Theresa May che ha anche motivato la sua opposizione con un laconico “non è il momento giusto”. La prima ministra scozzese Nicola Sturgeon ha risposto che “nella misura in cui la brexit è inevitabile, non ci si può imporre questo cambio, abbiamo il diritto di decidere se vogliamo cambiare”.
Nel 2014 la Scozia ha votato al 52% contro l’indipendenza. Uno degli argomenti più forti dei sostenitori del no era che un’eventuale Scozia indipendente sarebbe rimasta fuori dall’Europa. Il referendum sulla brexit ha cambiato totalmente la situazione: gli scozzesi hanno votato al 62% per restare nell’UE.
Ma è in atto anche un ulteriore dibattito, di cui poco si parla fuori dall’attuale UK, cioè l’ipotesi sempre più forte di un referendum per la riunificazione dell’Irlanda del Nord con la Repubblica d’Irlanda e sull’esistenza o meno di un automatismo nell’adesione all’UE del Nord Irlanda nel caso di una riunificazione irlandese.
Su questo tema la prima ministra inglese May, in risposta allo Sinn Féin che ha chiesto una consultazione post Brexit, ha detto che il suo governo non sarà mai neutrale e che crede profondamente nella forza del Regno Unito.
Gli unionisti dell’UUP Ulster Unionist Party fanno pressione sul governo inglese affinché si impegni in una campagna per far rimanere l’Irlanda del Nord nel Regno; il deputato Danny Kinahan ha ricordato il comune impegno del proprio partito e – in misura minore e controversa – di Theresa May contro la brexit, si è complimentato con il primo ministro per aver attivato l’Articolo 50 del Trattato di Lisbona per l’uscita dall’UE nel rispetto del pronunciamento popolare ma ha precisato che si aspetta un sostegno totale da parte del governo di Londra affinché i negoziati con l’Europa assicurino il meglio per il Regno Unito e per l’Irlanda del Nord. “Nel remoto caso in cui dovesse avvenire un referendum sulla riunificazione irlandese mi aspetto che il primo ministro in persona e il governo inglese sosterranno apertamente l’unionismo, così come si sono impegnati contro l’indipendenza scozzese e contro la brexit”.
Automatismi europei
Il segretario di Stato inglese per la Brexit David Davis ha affermato che, al contrario di una Scozia indipendente, il Nord Irlanda sarebbe automaticamente accolto nell’UE nel caso di una riunificazione irlandese.
Un precedente illustre in questo senso è costituito dalla riunificazione tedesca del 1990 quando la Germania dell’Est è entrata automaticamente nell’UE una volta unificata con quella occidentale. Ricordiamo che nel referendum di giugno il 56% della popolazione del Nord Irlanda ha votato per restare in Europa.
Davis ha aggiunto che se la maggioranza democratica dovesse scegliere per la riunificazione irlandese il governo inglese onorerebbe il suo impegno affinché ciò accada. “In quel caso il Nord Irlanda sarebbe nella posizione di diventare parte di uno Stato che già aderisce all’UE, e non in quella di cercare di aderire all’UE da nuovo Stato indipendente”.
Queste dichiarazioni sono state accolte con entusiasmo dal leader del partito pro riunificazione SDLP Colum Eastwood che ha affermato: “la brexit ha scosso le placche tettoniche del nostro paesaggio costituzionale. La gente dell’Irlanda del Nord ha votato per restare nell’Unione Europea. Il popolo irlandese ha votato in base all’Accordo del Venerdì Santo, sostenuto dall’Europa. Se questa nuova fase tradisce le nostre decisioni politiche è venuto il momento di iniziare a farci domande sul nostro futuro costituzionale”.
Il Galles osserva. Cresce l’opzione indipendentista.
Un’ultimo aspetto, anch’esso fortemente sottovalutato dalla stampa continentale, è l’evoluzione politica del Galles in senso nazionale e indipendentista. A dire il vero l’ipotesi che il Galles possa lasciare il Regno Unito sembra minima. In Galles la brexit ha vinto 51 a 49%. Ma non possiamo sottovalutare il riposizionamento in area indipendentista di un partito che storicamente non lo è mai stato: il Plaid Cymru ha infatti recentemente candidato alle elezioni per il rinnovo del parlamento gallese una esponente indipendentista e progressista, che ha proposto una visione sociale molto simile a quella dello Scottish National Party.
Nelle ultime elezioni il Plaid Cymru è diventato la seconda forza politica gallese con 12 eletti e il 20,5%, dietro ai Laburisti (29 seggi, 34,7%).
Un sondaggio del luglio 2016 ha portato alla luce la crescita dell’indipendentismo gallese. Alla domanda secca “cosa voteresti se domani ci fosse un referendum sull’indipendenza del Galles” il 15% ha risposto sì mentre fino a due anni fa questa risposta rasentava il 10%.
Se alla stessa domanda si aggiunge l’ipotesi di una Scozia indipendente la risposta positiva all’indipendenza gallese sale al 19%. E se inoltre si aggiunge la garanzia di una continuità nell’appartenenza del Galles all’UE il sì si attesta al 28%. In tutte le ipotesi formulate c’è un 20% di indecisi.