Il traballante governo di minoranza spagnolo presieduto da Sánchez vede la sua sopravvivenza legata all’approvazione del Bilancio Preventivo dello Stato per il 2019. Avrebbe bisogno quindi anche dei voti degli indipendentisti catalani di Esquerra i quali il 5 febbraio 2019 hanno annunciato di aver presentato un emendamento generale al progetto di legge che presuppone il loro voto negativo motivandolo con l’indisponibilità del Governo spagnolo a dialogare seriamente sulla soluzione politica del conflitto.
Nonostante questo il capogruppo di Esquerra nel Parlamento spagnolo Joan Tardà ha affermato che “il governo spagnolo ha tempo per agire prima del 12 febbraio, quando inizierà il processo ai leader indipendentisti.
Il testo dell’emendamento, qui tradotto dal Castigliano, è un concentrato di politica indipendentista che in poche pagine ci accompagna in un excursus cronologico nella strategia, nella tattica politica e nella coerenza dell’indipendentismo repubblicano catalano.
Il 5 febbraio 2019 viene recapitato al Governo spagnolo anche un altro durissimo testo istituzionale che chiede al Regno di defascistizzarsi e di rispettare la democrazia. Mittente: il Governo catalano.
Il gruppo parlamentare Esquerra Republicana presenta il seguente emendamento alla totalità del progetto di legge per il bilancio generale dello Stato per il 2019.
Esquerra Republicana de Catalunya lavora per la costruzione della Repubblica Catalana in modo pacifico e democratico. In questo cammino Esquerra si è impegnata nei progetti che credevamo servissero per fare passi avanti e un buon esempio di questo è stata l’elaborazione di un nuovo Statuto d’Autonomia che, senza colmare le aspettative del progetto repubblicano, ci portò a condividere il progetto con il socialismo catalano e spagnolo.
Esquerra Republicana si impegnò politicamente, in effetti, con il socialismo spagnolo e catalano al tempo dei presidenti Maragall, Montilla e Zapatero, perché esisteva un progetto temporaneo condiviso: un nuovo Statuto d’Autonomia per la Catalogna che voleva procedere verso uno Stato spagnolo federale e plurinazionale.
Sfortunatamente il governo socialista di Zapatero scelse di modificare il progetto approvato dal Parlamento catalano e di stringere un patto con Artur Mas, capo dell’opposizione al governo presieduto da Pasqual Maragall, ragion per cui il repubblicanismo catalano chiese il voto negativo al referendum sul nuovo Statuto che ha avuto luogo nel 2010. Questo si capisce solo alla luce del carattere costruttivo del repubblicanismo catalano interessato alla costruzione di spazi condivisi con la sinistra spagnola che rendano possibili avanzamenti nelle condizioni di vita delle classi popolari e nello sviluppo delle libertà individuali e collettive.
Ma Esquerra può negoziare il bilancio dello Stato solamente se condivide un accordo politico con il Governo che lo propone. Se non c’è accordo non può esserci negoziato. E non ci sarà. Non voteremo il bilancio perché non abbiamo paura che cada il governo e vada al potere un’alternativa politica erede del franchismo che minaccia di sospendere de facto l’autonomia catalana. I repubblicani catalani sono preparati a resistere anche a questa minaccia come fecero i nostri predecessori durante i 40 anni di dittatura. Non voteremo il bilancio neanche in cambio di favori economici nel mentre ci separa una criminalizzazione politica che tiene in carcere i dirigenti politici eletti in modo democratico tra cui il presidente del nostro partito.
La nostra posizione è frutto di un impegno permanente nella difesa della democrazia e delle libertà del nostro paese. Per questo ricordiamo le milioni di firme raccolte dal PP contro lo Statuto d’Autonomia e la presentazione dei ricorsi al Tribunale Costituzionale durante una campagna caratterizzata dalla catalanofobia. Ricordiamo la sentenza di un tribunale corrotto nella sua funzione imparziale e dominato dal PP che ridusse una “nazionalità” come quella catalana ad una comunità autonoma provinciale. In base a quella sentenza, giusto a titolo di esempio, non si riescono a capire i diritti e i doveri nel campo dell’uguaglianza tra la Lingua spagnola e quella catalana o i criteri per la creazione di un potere giudiziario catalano. Grazie all’azione del PP questo organo costituzionale spagnolo ha reinterpretato in modo unilaterale la relazione tra Catalogna e il Regno di Spagna. La sentenza contro lo Statuto d’Autonomia colpì l’articolo 152.2 della Costituzione che stabilisce che uno Statuto approvato in un referendum può essere modificato solamente attraverso lo stesso procedimento. Da allora la Catalogna vive una situazione anticostituzionale perché è retta da uno Statuto che non è quello che approvarono i cittadini nel referendum, situazione non prevista nel testo costituzionale.
Di conseguenza nel 2010 si ruppe il consenso che i cittadini catalani diedero alla Costituzione nel referendum del 1978.
Dalle elezioni del 2012 i partiti costituzionalisti rappresentano solamente il 40% dell’elettorato catalano, otto punti in meno rispetto ai sostenitori dell’indipendenza. La Costituzione spagnola ha dunque fallito in Catalogna: nel 1978 la votarono il 90% dei cittadini catalani mentre oggi sarebbe votata solamente dal 30%. Senza dubbio tutto questo dimostra che ha vinto la lettura del testo costituzionale fatta da Manuel Fraga Iribarne quando affermò: “Alianza Popular rigetta, ancora una volta, con tutta la forza e con la piena consapevolezza dell’importanza storica del suo gesto, l’introduzione dell’espressione ‘nazionalità’ nella Costituzione. Per noi non esistono altre nazioni che quella spagnola”. Quella sentenza oggi è stata rinnovata dal PP, Ciudadanos, Vox e parte del PSOE.
Non si può negare dunque che esiste un conflitto costituzionale nella relazione tra Catalogna e Regno di Spagna; uno Stato democratico avrebbe dovuto risolverlo in accordo ai Principi Democratici Universali, come stabilisce l’articolo 10.1 della Costituzione. Questo stabilisce che i diritti fondamentali devono essere interpretati in accordo con i Diritti Umani delle Nazioni Unite e con i Trattati firmati dalla Spagna. Il Patto Internazionale dei Diritti Politici e Civili riconosce il diritto all’autodeterminazione nel suo articolo 1. Un conflitto costituzionale con una nazionalità storica come Catalogna che fu annessa per diritto di conquista al Regno di Spagna nel 1715 non può essere risolto con l’imposizione del principio di legalità interpretato da una sola delle parti.
Nell’anno 2014 nel Parlamento catalano ci fu un consenso tra i due terzi dei suoi membri per presentare al Congresso dei Deputati spagnolo una proposta di legge per rendere possibile la convocazione di un referendum come quello celebrato in Scozia. Il Congresso dei Deputati non la prese neanche in considerazione con una schiacciante maggioranza di 299 deputati su 347 presenti. Un rotondo rifiuto quindi del negoziato. Questa risposta negativa comportò la celebrazione della consultazione del 9 novembre del 2014, con più di due milioni di partecipanti, e la convocazione di elezioni plebiscitarie del settembre 2015. La vittoria dei sostenitori della Repubblica Catalana con il 48% dei voti sarebbe stato connesso all’istituzione di negoziati in qualsiasi Stato di tradizione democratica. È quel che ha fatto il governo canadese con il Québec o il governo britannico quando lo Scottish National Party ottenne il 44% dei voti, cioè quattro punti in meno di quelli ottenuti dalle forze repubblicane catalane.
Nonostante questo il Regno di Spagna scelse la via della repressione. Utilizzò i suoi mezzi di comunicazione per acutizzare gli atavici pregiudizi contro i catalani che hanno la loro radice nella configurazione di un immaginario consistente nell’esistenza di nemici interni, sia l’antisemitismo dell’Inquisizione, la prima istituzione dell’unità spagnola, in tempi antichi o nell’anticatalanismo dei tempi più recenti.
Il mondo ha osservato con perplessità l’uso della brutalità della polizia contro i due milioni di cittadini indifesi che andarono a votare il 1 ottobre 2017. E in modo speculare si sono utilizzati l’Audiencia Nacional e il Tribunale Supremo per arrestare o indurre all’esilio i presidenti delle entità sociali Omnium Cultural e Assemblea Nacional Catalana, i membri del Governo della Generalitat de Catalunya e della presidenza del Parlamento catalano. E poi accusare di ribellione violenta e arrestare Jordi Sànchez e Jordi Cuixart per il loro comportamento nella manifestazione pacifica del 20 settembre 2017 davanti al ministero dell’Economia catalano è stato un attentato contro i diritti umani. E in questo modo l’ha denunciato Amnesty International. Accusare di ribellione violenta e arrestare Oriol Junqueras, Qui Forn, Raul Romeva, Josep Turull, Dolors Bassa e Carme Forcadell non può essere considerato in altro modo che un attentato alla stessa democrazia secondo la quale questi cittadini si sono limitati a mettere in atto il programma elettorale che vinse le elezioni del 2015.
Il Tribunale Costituzionale proibì le sedute del Parlamento catalano e poi impedì l’investitura dei candidati eletti nelle elezioni del 21 dicembre 2017.
Il Tribunal Supremo ha avuto un ruolo di carattere politico: arrestare i candidati che vinsero le elezioni; e il magistrato Llarena ha fatto arrestare Jordi Turull il giorno dopo rispetto alla prima votazione come Presidente della Generalitat e il giorno prima rispetto alla votazione che lo elesse. Non c’è dubbio quindi: il Trattato Europeo dei Diritti Umani è stato violato in modo eclatante, tanto più se ricordiamo la risoluzione di questo organismo che ha condannato la Turchia per aver violato il diritto ad essere deputato a un cittadino curdo eletto e arrestato nel novembre 2016 con l’accusa di propaganda a favore di un’organizzazione terrorista.
Constatiamo, al tempo stesso, che il Presidente Carles Puigdemont fu arrestato in Germania in conseguenza dell’ordine di cattura europeo emanato dal Tribunale Supremo spagnolo. I giudici del land Schleswig-Holstein hanno valutato che i fatti contestati dalla magistratura spagnola consistevano semplicemente nell’esercizio pacifico del diritto di manifestazione e in atti parlamentari propri di una democrazia. Azioni che, quindi, non rientravano nel reato di ribellione così come hanno affermato in modo categorico più di un centinaio di accademici come Pascual Sala, magistrato ex presidente del Tribunale Supremo e del Tribunale Costituzionale.
Nonostante questo, con una decisione che ha messo sotto scacco la separazione dei poteri nello Stato spagnolo, i dirigenti repubblicani catalani sono stati trasferiti dal carcere a Madrid per essere giudicati in un processo farsa che sicuramente passerà alla storia come il “processo della vergogna”, ispirato dalla volontà di impaurire e terrorizzare la popolazione catalana.
Il conflitto costituzionale quindi non ha fatto altro che aggravarsi e colpisce la stabilità politica del Regno di Spagna. Si sono dovute ripetere le elezioni spagnole del 2015 e le successive del 2016 hanno provocato una crisi molto pesante nel PSOE, causandone addirittura le dimissioni del segretario generale dopo aver appoggiato l’investitura di Mariano Rajoy. La paralisi del sistema si è fatta evidente anche se negli ultimi tre anni la congiuntura economica internazionale non presentava le incertezze di oggi.
Esquerra Republicana ha mostrato in ogni momento una coerenza di argomentazione e di azione. Il repubblicanismo catalano ha denunciato al momento giusto la mancanza di volontà del PSOE nello sfrattare Mariano Rajoy nonostante presiedesse il partito politico con più cause giudiziarie per corruzione in Europa. E quando Pedro Sánchez ha presentato la mozione di censura il repubblicanismo catalano si è unito all’iniziativa per espellere i corrotti dal potere. Come abbiamo detto chiaramente da questi scranni il nostro voto fu un No a Rajoy, non un Sì a Sánchez.
Nonostante questo, data la nuova congiuntura politica, Esquerra ha optato per la costruzione di scenari di dialogo con il Governo del PSOE. Anche perché riceva l’appoggio di un altro gruppo parlamentare chiaramente posizionato a sinistra (Unidos Podemos – En Come Modem – En Marea) che aveva maggior capacità di dialogo con il repubblicanismo catalano e con il sovranismo basco. In questi mesi l’azione politica di Esquerra è stata ispirata a questo obiettivo: rendere possibile uno scenario di dialogo e di negoziato per ottenere una soluzione politica del conflitto tra Regno di Spagna e Catalogna basata sul principio democratico. E al tempo stesso lavorare assieme alla sinistra dello Stato spagnolo per ottenere un orizzonte di vera giustizia sociale anche con l’approvazione di un bilancio che potesse essere positivo per tutta la cittadinanza.
Ma questo non può astrarre dalla situazione che stiamo vivendo di anormalità democratica e di eccezionalità. Quello che è in gioco sono i diritti, la democrazia e, in sostanza, la vita dello stesso Stato di diritto.
Rispetto a questa situazione Esquerra in coerenza con il suo ideale repubblicano e progressista non può dare il suo appoggio a un bilancio generale dello Stato senza un progetto temporaneamente condiviso con il PSOE e con la sinistra spagnola in generale. Un progetto condiviso che deve avere un dato concreto: la soluzione democratica del conflitto tra Regno di Spagna e Catalogna.
Questa via d’uscita democratica dovrà prevedere il diritto all’autodeterminazione, attraverso la convocazione di un referendum che consenta alla cittadinanza di pronunciarsi. Vari costituzionalisti hanno sostenuto che un referendum di questo tipo possa essere convocato sotto la copertura della Costituzione spagnola del 1978.
Il presidente Pedro Sánchez ha riconosciuto due realtà. In primo luogo che lo Statuto vigente in Catalogna non è quello che il popolo catalano approvò nel referendum. In secondo luogo che il conflitto deve essere risolto attraverso le urne. Ma l’attuale governo spagnolo ha rifiutato di correggere la giudizializzazione di un conflitto politico inaugurata dal PP. In effetti il Governo ha evitato di chiedere alla Magistratura Generale dello Stato il ritiro delle accuse contro i legittimi rappresentanti del popolo catalano e contro i leader nonviolenti, cosa che avrebbe potuto fare in base al proprio Statuto. E inoltre ha annunciato una campagna a livello internazionale che avrà luogo durante il processo giudiziario per nascondere la mancanza di garanzie dei processati.
Esquerra conferma in modo forte e chiaro la necessità di creare uno spazio di dialogo condiviso con il Governo Sánchez. Non un dialogo tra commissioni amministrative ma un negoziato per la soluzione democratica del conflitto. Per questa ragione il governo spagnolo non può aumentare la repressione consentendo blitz della polizia senza controllo giudiziario. È imprescindibile inoltre stabilire un àmbito di dialogo e di negoziato bilaterale, con la presenza di una mediazione, preferibilmente internazionale, di pari grado e concordata tra le due parti. Questo àmbito deve dare per assodato che la soluzione del conflitto può trovare uno sbocco solamente attraverso un esercizio democratico senza esclusioni, cioè basandosi su un principio di realtà che vede l’esistenza di un 48% della popolazione catalana che ha scelto l’indipendenza.
In conseguenza di ciò non possono restare escluse dalla soluzione condivisa né le aspirazioni chiare dei cittadini catalani che nelle elezioni hanno optato legittimamente e legalmente per l’indipendenza né quelle dei cittadini catalani che, nella stessa legalità e legittimità, hanno optato per l’autonomia catalana all’interno del Regno di Spagna.
In questo senso quindi, prima della presentazione del progetto del Bilancio Generale dello Stato per il 2019 da parte del Governo spagnolo, consci dell’importanza di questo progetto di legge, Esquerra non appoggerà questo progetto se, prima, non si realizzerà un passo nell’impegno alla costruzione di un progetto condiviso per la soluzione politica e democratica del conflitto esistente tra Regno di Spagna e Catalogna qui descritto.