Sono passati più di trent’anni dal primo esperimento di insegnamento della Lingua bretone nel sistema educativo statale francese. Lo scorso 23 marzo il ministero dell’Educazione ha autorizzato l’organizzazione di concorsi per la selezione di insegnanti di sette “Lingue regionali di Francia”. Al di là delle definizioni burocratiche, dal 2018 gli studenti francesi potranno scegliere di frequentare corsi di Bretone, Corso e Occitano. Dal 2019 saranno aggiunti anche i corsi di basco e catalano. Successivamente sarà possibile scegliere anche il Creolo e il Tahitiano.
Il ministro dell’Educazione francese Najat Vallaud-Belkacem [foto] ha dichiarato che queste decisioni mirano “alla promozione del riconoscimento delle Lingue e delle culture regionali, nella speranza di sostenerne lo sviluppo e di assicurarne la conservazione grazie ad un insegnamento professionale ed eccellente”.
Sia positive che critiche le prime reazioni dagli esponenti politici delle nazioni senza Stato. La vicepresidente della Bretagna Léna Louarn, responsabile per le Lingue di Bretagna e presidente della Commissione Lingue Regionali dell’Associazione delle Regioni di Francia, ha affermato che si tratta di “un avanzamento reale che pone le Lingue regionali allo stesso livello delle altre Lingue viventi, conferendo maggiori competenze agli insegnanti di Bretone e aumentando l’attrattività dei loro corsi”.
La vicepresidente bretone ha aggiunto che “la ratifica della Carta Europea della Lingue Regionali sarebbe stato un forte segnale da parte dello Stato francese, ma in Bretagna abbiamo ampiamente superato i suoi dettami: abbiamo asili in Bretone, scuole superiori e licei immersivi e bilingui, segnali stradali. Penso che potremo immaginare di tenere anche gli esami per il diploma superiore in Bretone, sempre che siano assicurati dei membri esterni che parlano la nostra Lingua”.
La recente decisione del Ministero permette di superare il fallimento del presidente Hollande nella mancata ratifica della Carta Europea delle Lingue Regionali adottata nel 1992 dal Consiglio d’Europa al fine di proteggere e favorire l’uso delle Lingue storiche regionali e delle lingue “minoritarie”.
Il presidente francese infatti ha tentato invano nel 2015 di porre rimedio a questo mancato accoglimento da parte dello Stato francese della Carta europea: il Senato ha bloccato la ratifica prendendo spunto dal pronunciamento del 1999 del Consiglio Costituzionale che aveva descritto la Carta Europea delle Lingue Regionali come anticostituzionale in quanto “contraria all’uguaglianza di tutti i cittadini francesi” e in quanto “la Lingua della Repubblica è il Francese”.
È da segnalare che anche l’Italia, assieme alla Russia e altri, fa parte degli Stati che hanno sottoscritto la Carta Europea senza poi ratificarla.
Da parte occitana la decisione ministeriale era attesa da molto tempo. Marie-Jeanne Verny, segretaria della FELCO Fédération des Enseignants de Langue et Culture d’Oc (Federacion dels Ensenhaires de Lenga e de Cultura d’Òc) e insegnante di Lingua e letteratura occitana all’Università Paul Valéry di Montpellier, ha dichiarato che “è dal 1993 che attendiamo questo provvedimento che permette ai colleghi insegnanti di Occitano di avere uno sviluppo di carriera identico a quello degli altri insegnanti”.
Per Hur Gorostiaga invece, direttore di Seaska federazione delle scuole basche dei Paesi Baschi del Nord, la misura ministeriale è positiva ma non sufficiente a garantire la sicurezza delle Lingue locali: “stiamo andando verso una normalizzazione, un riconoscimento da parte della Repubblica delle Lingue territoriali. È una buona cosa porre queste lingue su un piano paritetico rispetto alle altre, anche se queste nuove direttive non rivoluzioneranno in positivo gli aspetti pratici del loro insegnamento”.
“Questo non è il modo in cui potremo salvare la nostra Lingua e la sua diffusione”, afferma Micheli Leccia del collettivo Parlemu Corsu, secondo il quale le decisioni ministeriali sono meno importanti rispetto alla formazione degli insegnanti: “il numero di persone che vuole imparare il Còrso è enorme, mancano gli insegnanti”.
Le Lingue nazionali o minoritarie in Francia
La situazione delle Lingue “regionali” vede il Fiammingo con 20mila parlanti regolari, e 50mila occasionali; il Bretone, lingua di origine celtica, con 200mila persone che la parlano. Più di 15mila bambini nel 2013 sono stati scolarizzati bilingui, la televisione pubblica locale propone trasmissioni in Bretone; l’Alsaziano, lingua di origine germanica, con 600mila parlanti su 1,8 milioni di abitanti. Può contare su centinaia di scuole bilingui; l’Occitano, lingua di origine latina: nella regione Midi-Pyrénées, ad esempio, il 14% degli abitanti parla occitano. Più di 55mila studenti beneficiano dell’insegnamento dell’Occitano; il Catalano, parlato da 10 milioni di persone tra Francia e Spagna, è presente nella scuola, nella televisione, alla radio e anche nelle amministrazioni pubbliche; il Basco, lingua non indoeuropea, la più antica dell’Europa occidentale, nello Stato francese viene parlata da più di 50mila persone. È insegnato nelle scuole private a livello immersivo ed esistono dei corsi bilingui sia privati che pubblici; il Còrso viene parlato da 90mila persone, il 45% della popolazione adulta. Secondo il collettivo Parlemu Corsu la cifra scende a 50mila. Nella scuola primaria sono previste tre ore di insegnamento di Lingua e cultura còrsa obbligatorie. Nella secondaria il Còrso è facoltativo dopo il primo mese di prova obbligatorio.