La fase travagliata del Partito Socialista spagnolo (PSOE) continua ad essere caratterizzata da continui appelli all’unità del partito. Dopo gli smottamenti dell’autunno 2016 dovuti alla discussione interna e alle divergenze sul sostegno al governo Popolare di Mariano Rajoy i socialisti non sono ancora riusciti a trovare un equilibrio interno.
Questa instabilità strutturale si riflette fisiologicamente sulla faccia pubblica del partito, anche nel mezzo della campagna in corso per il rinnovamento della segreteria animata da tre figure di spicco come la presidente andalusa Susana Diaz, l’ex presidente della Comunità Autonoma Basca Patxi Lopez e Pedro Sanchez, già segretario del partito, dimessosi dopo l’abbandono della maggioranza dell’esecutivo federale del partito a causa di forti discordanze interne sulla scelta del supporto esterno al Governo Rajoy in nome della stabilità e sui risultati elettorali insoddisfacenti.
Riusciranno le alte sfere del socialismo spagnolo a ritrovare una sintonia con la base militante e con gli elettori in fuga verso Podemos? Il PSOE è condannato a fare una fine simile a quella dei socialisti francesi, ridotti al 6% del primo turno presidenziale del 23 aprile 2017?
Da qualche mese i socialisti hanno smesso di contrastare Podemos definendolo come populista; la strategia è ora quella di etichettare la formazione come estrema sinistra tentando di conservare per il PSOE la posizione egemonica del centro-sinistra. Questa scelta pagherà a livello elettorale?
Le primarie socialiste sono caratterizzate da un susseguirsi di attacchi senza sconti tra i candidati. Il mantra dell’unità del partito contro le politiche conservatrici del PP connota le campagne di Diaz e Lopez mentre Pedro Sanchez sceglie di affrontare il tema più scottante dell’attualità politica e istituzionale dello Stato spagnolo: la Catalogna.
“La Spagna è una nazione di nazioni”
Come già affermato in passato l’ex segretario PSOE ha ribadito la necessità “coraggiosa e audace” di “chiamare le cose con il loro nome” e quindi di riconoscere la Catalogna come nazione all’interno del testo costituzionale spagnolo. Secondo Sanchez occorre rivendicare la pluriculturalità, la plurinazionalità e il plurilinguismo della Spagna. “Dopo 35 anni di democrazia dobbiamo riconoscere che all’interno della Spagna ci sono altre nazioni, una di queste è la Catalogna”.
Tale riconoscimento è ciò che chiede la costola catalana (PSC) del partito socialista spagnolo assieme ad altre richieste come lo spostamento del Senato spagnolo a Barcellona e l’approvazione di una Legge spagnola sulle Lingue.
Tutte proposte che il candidato Sanchez appoggia, rendendo sempre più solido l’idillio con i socialisti catalani di Miquel Iceta. Una comunità di vedute scaturita a seguito della comune decisione di votare nel Parlamento spagnolo contro l’investitura di Rajoy contravvenendo alle istruzioni del PSOE che prevedevano una astensione costruttiva.
In ogni caso non si sono fatte aspettare le puntuali controdichiarazioni di altri candidati alla segreteria del PSOE come l’ex presidente di Euskadi Patxi Lopez che per la Catalogna concede al massimo la definizione di “nazione culturale”.
La soluzione del conflitto catalano sta nel negoziato
Dal punto di vista indipendentista il passaggio più interessante è quello che Sanchez dedica all’invito “all’apertura, al dialogo, alla negoziazione e alla capacità di accordo” con chiaro riferimento all’inamovibile rifiuto da parte dei Popolari e di larga parte del suo stesso partito di qualsiasi tipo di negoziato in merito al referendum sull’autodeterminazione con il governo indipendentista catalano che non ha mai smesso di tenere la porta aperta al dialogo con lo Stato per realizzare una consultazione con regole condivise.