Il referendum sull’indipendenza della Nuova Caledonia dallo Stato francese si è tenuto il 4 novembre 2018 e ha visto la vittoria del No con il 56% dei voti contro il Sì che si è fermato al 43%. La mappa del voto rispecchia fedelmente le aree geografiche a maggioranza kanak e quelle a maggioranza europea. Secondo gli Accordi di Nouméa si potranno tenere altri due referendum nel 2020 e nel 2022.
Al di là delle letture più superficiali del risultato, sopratutto quelle del trionfalismo centralista, c’è una strana serenità nei responsabili del movimento indipendentista, fiduciosi in un futuro più roseo per il fronte indipendentista. L’analisi del voto realizzata da Anita Lopepe, esponente di EH Bai – la coalizione indipendentista basca in Iparralde, la porzione nord del territorio nazionale basco attualmente governata dalla Repubblica Francese -, fornisce nuove chiavi di lettura della dinamica del voto caledone sia sul piano politico sia su quello antropologico e culturale.
Qui di seguito la traduzione del testo originale in Francese pubblicato sul sito di EH Bai.
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La maggioranza dei Kanak non ha scelto la Francia
di Anita Lopepe
Dal punto di vista del potere parigino il referendum in Nuova Caledonia del 4 novembre scorso ha portato a un riassetto istituzionale in uno dei suoi territori. La stessa logica inadeguata prevale anche nel caso delle risposte dello Stato alle rivendicazioni che arrivano dalla Corsica o dai Paesi Baschi.
Ma per l’ONU la Nuova Caledonia è uno dei 17 territori ancora non decolonizzati nel mondo.
Dopo 165 anni di colonizzazione, di spoliazione e di una politica di ripopolamento che ha reso il popolo kanako numericamente minoritario sulla propria terra, il problema della relazione tra la Nuova Caledonia e la Francia rimane intatto.
Inoltre da decenni due opposte visioni del mondo e di organizzazione della società sono costrette alla coabitazione. La prima è comunitaria, fondata sul diritto orale, spirituale e legata alla terra. L’altra è basata sulla democrazia rappresentativa, il centralismo, lo sviluppo industriale. Queste concezioni antinomiche perdurano e il risultato del referendum le illustra perfettamente: le regioni maggioritariamente kanak hanno votato Sì e le regioni nelle quali la popolazione è essenzialmente di origine europea hanno votato No.
Ascoltare Macron che esprime fierezza perché “la maggioranza dei Caledoni ha scelto la Francia” non può esimerci dal ricordargli che mai un popolo è stato chiamato a pronunciarsi sul suo desiderio di essere colonizzato o meno da una potenza straniera. Paradossalmente oggi si chiede ai kanaki di decidere a maggioranza se vogliono uscire dalla tutela dello Stato dal quale non hanno mai deciso di essere dipendenti.
Tuttavia tutte le analisi sono d’accordo nel dire che i risultati confortano gli indipendentisti collocando il numero di voti favorevoli all’indipendenza oltre le aspettative.
L’atteggiamento molto fiducioso di Mickael Forrest, rappresentante del FLNKS invitato da EH Bai alla vigilia del referendum mi aveva fatto pensare. Realizzo solo ora che non si trattava tanto dell’ottimismo di un partito rispetto a una scadenza elettorale ma si trattava della serenità di un popolo in marcia verso la sua sovranità, pazientemente e totalmente impegnato nel lungo cammino frutto degli accordi di Nouméa, “perché lo dobbiamo ai nostri anziani”, ripeteva Michael Forrest.
Più che all’attaccamento alla loro identità e ai loro costumi i kanaki aspirano alla piena sovranità per voltare pagina rispetto alla colonizzazione e per recuperare decenni di segregazione (ancora oggi l’accesso alle abitazioni, al lavoro, ai diplomi è largamente sfavorevole per i Kanaki), ma anche per far fronte alle sfide del nuovo secolo: nel campo della sanità, della formazione delle giovani generazioni, della gestione delle risorse locali, senza dimenticare la questione centrale dell’innalzamento del livello degli oceani.
Gli accordi di Nouméa prevedono l’indizione di due referendum supplementari da qui al 2022. La forte mobilitazione, specialmente quella dei giovani, lascia la porta aperta all’ottimismo per i Kanaki e per tutti i popoli senza Stato che aspirano alla loro indipendenza.