L’eclisse di Rajoy, l’ascesa di Sanchez e le possibili nuove dinamiche politiche.
Il PP potrà tentare di riprendersi dalla lunga apnea a ostacoli che l’ha tenuto impegnato per anni su vari fronti: quello interno ed elettorale della titanica lotta contro gli antagonisti montanti di Ciudadanos; quello inter.nazionale catalano e quello continentale sui quali i Popolari hanno magistralmente interpretato il ruolo dei difensori dello status quo costituzionale visto come chiave di volta del Regno a detrimento dei diritti democratici, civili e umani rispettati in altri Regni e Stati del mondo in casi analoghi a quello del processo di disconnessione catalano. Sarà interessante osservare come l’apparato Popolare approfitterà del momento apparentemente negativo e, liberatosi di Rajoy e del peso del governo, gestirà la ricostruzione interna e i rapporti con i socialisti ai quali è passata la palla avvelenata.
Per il PSOE non possiamo dire che finalmente mostrerà il suo vero volto perché semplicemente l’ha già mostrato ampiamente per decenni dalla fine della dittatura ad oggi rendendosi protagonista dell’applicazione delle più sofisticate architetture repressive violente nelle nazioni senza Stato – per stessa velata ammissione di Felipe Gonzalez – ben oltre le ventilate minacce dei tank in Euskadi di aznariana memoria.
Tuttavia i socialisti godono ciclicamente di un bonus-credibilità conferitogli dalla stessa incomprensibile vulgata secondo la quale il defunto PS in Francia è (era) il detentore dell’incarico di custode della patria dei diritti umani e il PD italiano è l’unico interprete dei valori democratici con buona pace di Le Pen, M5S, Salvini e Macron.
Quantomeno l’esperienza di governo socialista ricorderà di quale pasta è fatto tutto il centralismo spagnolo. La nomina a ministro degli Esteri del catalano unionista Josep Borrell è un vero e proprio manifesto di intenti: tentare di rassicurare l’Europa offrendo un volto conciliante e assennato. Ma in Spagna tutti sanno che Borrell è la stessa persona che fu per anni al servizio di Gonzalez nella guerra sporca contro l’indipendentismo basco, fatta anche con torture di Stato, e sembra improbabile che il nocciolo dell’approccio socialista ai processi di autodeterminazione possa discostarsi da questa tradizione di famiglia.
Sicuramente sarà sempre più difficile per i socialisti unionisti catalani del PSC, federati con il PSOE spagnolo, giocare sulla contrapposizione tra il loro unionismo ragionevole e democratico e quello repressivo del PP.
In questo senso una forza come Podemos, con le sue articolazioni locali, avrà ancor meno agio nel propugnare la possibilità di riformare lo Stato spagnolo che invece appare e apparirà sempre più incagliato in una via di non ritorno che ha come unico e irrazionale orizzonte l’immutabilità istituzionale e territoriale del Regno. A proposito di questo sarà piena responsabilità degli indipendentisti riuscire a spiegare le proprie ragioni invertendo e scavalcando il progetto sostanzialmente istituzionalmente conservatore di Podemos. La democratizzazione e la riforma dei poteri, nella penisola iberica come altrove, è possibile a partire dai popoli e dai territori.
Una dinamica a parte è appunto quella del microfronte indipendentista e autonomista che ha reso possibile la caduta di Rajoy. Questo amalgama eterogeneo di forze politiche non rappresenta un elemento unitario e non deve essere letto come appiglio per i socialisti.
Il PNV aveva promesso di non sostenere Rajoy a causa della repressione in Catalogna. Che abbia mantenuto la parola è un dato di fatto ma sarebbe molto sbagliato incorporare d’ufficio questa forza politica tra quelle pronte a fare fronte comune a favore del diritto all’autodeterminazione in Euskadi e in Catalogna. Nonostante questo, è indubbio che se gli autonomisti baschi saranno in grado di dare dei pur minimi segnali verso l’apertura di un secondo processo democratico di disconnessione, o quantomeno di un processo di conquista di maggiori spazi di autogoverno, l’impatto sull’opinione pubblica indipendentista nelle due nazioni potrebbe portare positivi effetti anche in termini elettorali concedendo quel colpo di reni necessario e definitivo in una Catalogna che sopporta anni di impegno e repressione e quell’accelerazione tanto attesa in Euskadi; senza dimenticare le possibili ripercussioni, di cui già si vedono da tempo le avvisaglie, a Pamplona, Valencia, Palma nonché a Perpignano e Baiona.