Lo status di territorio, comunità o regione autonoma è una condizione che caratterizza molte nazioni senza Stato europee ma nessuna di quelle attualmente governate dallo Stato francese ne hai mai avuto accesso. La Francia non contempla il riconoscimento di alcun tipo di autonomia politica o legislativa, non riconosce altre Lingue oltre il Francese né tantomeno l’esistenza di nazioni storiche. Come abbiamo visto nel caso dei Paesi Baschi Nord, le uniche concessioni dello Stato sono ben lontane dal poter essere ufficialmente definibili come “istituzioni locali”. E, come abbiamo potuto apprezzare nelle scorse settimane in Corsica, lo Stato francese è indisponibile persino al confronto sui temi delle identità locali anche nel caso in cui il dialogo sia proposto da un governo a guida autonomista e indipendentista con il più vasto appoggio popolare ed elettorale della storia. E’ in questo quadro di esasperato centralismo e di chiusura giacobina che si trovano ad agire da decenni le forze politiche, culturali e sociali còrse.
Con il documento di archivio che pubblichiamo oggi vogliamo iniziare un piccolo viaggio nella Corsica di fine millennio alla scoperta del clima politico dell’epoca connotato da un dibattito sull’autonomia e sull’indipendenza quantomai attuale. Negli interventi degli esponenti politici rintracciamo la necessità dell’affermazione dei temi dell’autogoverno e della libera scelta democratica del popolo còrso nonché l’auspicio e la certezza che tali temi e tale sentimento possano affermarsi nell’Isola in temi medio-lunghi.
A distanza di vent’anni possiamo sicuramente dire che la scommessa politica è stata vinta: il primo governo nazionale còrso e la sua recente riconferma è un successo di portata storica. L’autonomismo e l’indipendentismo, con le loro scelte coraggiose e coerenti in pieno spirito di responsabilità nazionale e con il loro trasparente impegno di governo contenente proposte e progetti a 10 anni, hanno saputo raggiungere e conquistare settori di società enormi, ben oltre qualsiasi tipo di aspettativa.
Nell’estate del 1999 il settimanale Arritti, organo dell’UPC, Unione di u Populu Corsu – partito che darà vita a varie esperienze politiche fino alla recente fondazione di Femu a Corsica – pubblica un numero speciale dedicato interamente al dibattito sul tema dell’autonomia al quale partecipano anche esponenti indipendentisti. La domanda in copertina è “Quale autonomia per la Corsica?” e l’editoriale, che pubblichiamo oggi, verte proprio sull’urgenza di riuscire a immaginare il futuro autodeterminato dell’Isola nonostante la chiusura dello Stato. L’articolo esprime chiaramente il punto di vista autonomista, non è privo di spunti lungimiranti ma forse pecca nella visione parzialmente ottimistica di un ravvedimento dello Stato rispetto alle proprie posizioni di chiusura totale sul tema in oggetto. Dopo vent’anni, in questo campo, non si notano passi avanti. [fp]
Arritti Corsica Settembre 1999
Quale autonomia per il popolo corso?
La Corsica è in cerca del suo futuro. È in un clima di grandi interrogativi che il dibattito sull’autonomia è stato rilanciato negli ultimi mesi in Corsica. C’è la speranza di poter lavorare alacremente. Questo numero di Arritti vuole dare il suo contributo.
di François Alfonsi
“La Corsica è in cerca del suo futuro. Perché il mondo attorno ad essa si sta muovendo. Ormai chi può ignorare la situazione della Corsica rispetto all’Europa? Certamente non gli autonomisti che hanno da sempre sottolineato questo aspetto essenziale per il futuro. Ma neanche lo Stato o le altre forze politiche isolane: non c’è nessun progetto durevole fuori da questa nuova dimensione.
Perché il futuro del popolo corso è minacciato. Le grandi questioni avanzate da ormai trent’anni non hanno mai trovato alcun tipo di risposta credibile: la Lingua còrsa potrà essere salvata e la nostra cultura preservata? Il nostro patrimonio naturale, unico nel Mediterraneo, sarà risparmiato dal saccheggio che lo minaccia a più o meno lungo termine? Il nostro popolo potrà essere padrone del proprio destino?
Il corpo sociale còrso è attraversato da trent’anni da una crisi politica irrisolvibile con gli strumenti dello status quo: né dalla repressione, né dalla ripresa economica, né dai due strumenti assieme. Il popolo còrso è ormai pienamente cosciente della sua situazione che gli dà il diritto a delle istituzioni aggiornate: fino a quando gli saranno negate, non ci sarà mai stabilità politica duratura nell’Isola.
È questa l’equazione che i responsabili politici – cioè coloro che in Corsica come a Parigi o altrove hanno la possibilità di influire sul futuro – devono risolvere. E lo stato di cedimento sociale, economico, culturale e morale è tale che ormai il tempo stringe particolarmente.
È in questo clima di grandi interrogativi che è stato rilanciato da qualche mese il dibattito sull’autonomia della Corsica. Non perché siano sorte idee particolarmente innovative sul tema ma perché nuove forze politiche se ne stanno progressivamente occupando. Ci chiediamo se sia possibile in Corsica una “rivoluzione dei valori” sotto forma di un processo a macchia d’olio che si espande su tutta la società e si contrapponga a uno Stato particolarmente intransigente contaminato da trent’anni di ripetuti fallimenti e da una nuova crisi – il caso Bonnet [il prefetto francese che fece realizzare dalla Gendarmeria un finto attentato incendiario per scaricarne la colpa sul FLNC, ndr] – dannoso per la sua credibilità.
Lo scenario non è utopico e si sintonizza con lo spirito del tempo europeo, pensiamo ai processi in corso in Irlanda, nei Paesi Baschi ma anche in Galizia, in Galles e in Scozia. Esso si declina su tre assi convergenti:
- il consenso interno crescente per la rivendicazione di una reale devoluzione dei poteri attraverso uno statuto d’autonomia molto ampio;
- l’abbandono definitivo delle strategie violente che hanno portato a sconfitte politiche e militari senza per questo isolare coloro i quali le hanno incarnate nel momento in cui accettano il nuovo processo;
- la lucidità politica dello Stato.
Su quest’ultimo punto lo Stato francese e il suo giacobinismo d’altri tempi fanno molta resistenza, con il Consiglio Costituzionale come ultimo baluardo. Per loro, ricordiamolo, è difficile digerire il anche il nuovo statuto della Nuova Caledonia ma sono obbligati a occuparsene, modificando in questo senso anche la Costituzione. Cosa può dare alla Francia la sua intransigenza giacobina? Non c’è nessuno a Parigi che può capire la situazione? Sembra impossibile.
Sul secondo punto le incertezze vengono da lontano. Nonostante che all’“armata dell’ombra” fossero attribuite molte virtù oggi anche i suoi più entusiasti sostenitori dubitano del mito. Quanto alla capacità di questa strategia di scontro per liberare la Corsica, l’avventura del comando Erignac [Prefetto ucciso, ndr] ha mostrato i suoi limiti impossibili da superare.
Resta il primo punto. Potremmo noi iniziare finalmente a sperare in una presa di coscienza così ampia e così piena di speranza che consentisse alla Corsica un cambiamento radicale? Come in Irlanda o nei Paesi Baschi la violenza potrebbe essere “aspirata” dal processo democratico e le resistenze dello Stato non durerebbero molto, tanto è incapace di concepire, a partire dalla sua logica giacobina, una qualsiasi alternativa.
C’è una speranza per poter lavorare alacremente. Questo numero di Arritti vuole dare il suo contributo”.